giovedì 29 settembre 2011


Ritorno a scrivere in questo blog dopo mesi di assenza, che hanno coinciso con una serie di impegni che mi hanno tenuto lontano dal gioco di ruolo, ma anche una buona dose di pigrizia. Partiamo innanzitutto con qualcosa di nuovo. Una one-shot (beh, oddio, diciamo 5-6 serate di gioco dalle 4 alle 6 ore di sessione) al Richiamo di Cthulhu.


Parigi, autunno 2009. Tarda serata. Nella banchina del Metro di Luis-Blanc corrono gli ultimi treni. L'ispettore Fordieu e il giornalista freelance Simon stanno ancora discutendo sulle incapacità dell'oratore del convegno dal quale sono appena usciti. Difficile chiamare il loro rapporto un'amicizia. Si conoscono da anni, ma solo per il loro interesse comune per l'esoterismo e la storia. Hobby consumati in sale convegni di hotel di seconda e terza categoria, ciarlatani, a volte donne sopra i cinquanta che cercano in quelle situazioni come in altre un pò di calore.
Situazioni già vissute, tipiche e quella sera nel Metro sembrava una delle tante altre...

...Fordieu stava ancora ringhiando al rastafariano di dargli i documenti, quando Simon per primo sentì l'urlo. Non si poteva cogliere niente di femminile, niente di umano, riconducibile a quella splendida donna, che ha incrociato le loro vite per pochi attimi, ma capace di imprimersi a fondo come un marchio a fuoco nella carne.

E ora erano li. La scia di sangue finiva in una stanza di servizio. Il corpo era supino. Il torace divelto verso l'esterno. Il cuore capace ancora di battere, mentre quel volto privo di pelle cercava disperatamente di respirare e non morire e di pronunciare un ultimo nome, parola o maledizione. "Rivelati in Y'Gon".

Luce bianca e dolore al basso ventre per l'ultimo conato di vomito, per la bile sopra le scarpe di Simon. Guardava Fordieu con gli occhi sgranati e quello cercava solo di accendere una sigaretta. Quattro erano accartocciate ai suoi piedi, stropicciati da dita che non riuscivano a stare ferme. Il segreto inconfessabile. Il desiderio di aver sognato, perchè sarebbe tutto più rassicurante, solo un incubo. Occhi che tradivano domande "lo hai visto anche tu?". Deposizioni in centrale di polizia infattibili. Ma lo avevano visto. Era alto, deforme, il peso sbilanciato in basso, su un torace rigonfio, come se fosse gravido, con la pelle stirata, giallastra, necrotica. Gli artigli ancora sporchi del sangue di Yvette. E quella pretuberanza, come una testa allungata, con tre piccoli fori scuri come l'oscurità infinita dell'universo...

"Dimentica, dimentica, è solo lo shock per la vista del sangue, del cadavere. E' opera di un pazzo. I mostri non esistono..."

sabato 24 settembre 2011

Sprawl tales

Mai una buona notizia al videogiornale di News24, pensò Carl, spegnendo il suo piccolo televisore in cucina. Era ancora troppo presto per raggiungere gli altri all'Hive. Si diresse verso il minuscolo balconcino, gli piaceva affacciarsi e guardare le scie degli AV in cielo. Si accese una sigaretta pensando che era uno dei pochi fortunati a potersi permettere una vista sull'esterno, chissà quante migliaia di persone nella sua arcologia non vedevano altro che gli atri interni. In quel momento un piccolo girocottero passò in lontananza, era troppo lontano per vedere che modello fosse, ma azzardò mentalmente si trattasse di un vecchio girocottero della Takaya, a giudicare dalla sagoma. Effettivamente Carl era un grande esperto di elicotteri e velivoli civili, dopo aver lavorato per anni come capo-meccanico nell'aeroporto di Night City.

Venne strappato dalle sue riflessioni dal rombo di una moto che si fermo in strada, vicino ad una malridotta Chevy. Sapeva a chi apparteneva quel catorcio, a Jason, un ragazzo che si era fatto una certa reputazione come ricettatore. Non aveva mai visto invece l'altro tizio, un omaccione muscoloso, sembrava un cubano a giudicare dall'aspetto e sembrava conoscere Jason. Brutta gente, pensò Carl, non portano mai nulla buono quelli li. Tornò a scrutare il cielo in cerca di qualcos'altro degno di attenzione, ma il cielo era stranamente vuoto quel pomeriggio.

Finì la sua sigaretta e mentre si voltava per rientrare, sentì che il tono di voce dei due si stava alzando pericolosamente, si sporse un secondo per vedere giusto in tempo il portoricano estrarre un monopugnale e gettarsi su Jason. La velocità dell'uomo era impressionante, di sicuro aveva qualche amplificatore di riflessi impiantato nella testa, pensò Carl. Il colpo affondò nella coscia destra di Jason, un fiotto rosso sgorgò sui pantaloni e la gamba del ragazzo cedette. L'urlo di Jason rimbombò tra i vicoli vicino, ma il ragazzo non era uno sbarbatello da vicolo e mentre si accasciava a terra estrasse una pistola da sotto la giacca e, con mano tremante per il dolore, fece fuoco. Colpì l'energumeno alla testa, non un colpo mortale però, perché il cubano alzò nuovamente la lama, un colpo lento questa volta, a causa del la ferita di certo. Questa volta colpì Jason allo stomaco, ma il ricettatore probabilmente aveva una giubbotto corazzato sotto la camicia, e il colpo non fu mortale. Mentre il cubano tentava di togliersi il sangue da davanti gli occhi, Jason puntò di nuovo la pistola, mentre con l'altra mano tentava di fermare l'emorragia alla gamba, e fece fuoco. La mira era stata pessima, ma comunque efficace, il colpo mandò in frantumi la caviglia sinistra del cubano, che cadde a terra urlando. Ma forse per lo shock o per la ferita alla gamba, subito dopo il colpo, Jason si accasciò a terra, in fin di vita. L'energumeno fece giusto in tempo ad estrarre il cellulare dalla tasca e a comporre un numero, e poi anche lui si accasciò a terra in una pozza di sangue.

Povero ragazzo, forse se la caverà se qualcuno ha chiamato in tempo il 911, pensò Carl, mentre rientrava in casa. Doveva ricordarsi di chiamare Max più tardi, magari sganciando abbastanza eurodollari sarebbe riuscito a mettere le mani su quella Chevy, erano mesi che ci aveva messo gli occhi sopra e forse questa era la volta buona, pensò mentre si dirigeva sotto la doccia.